NonLavaNonStira
Con la mostra NonLavaNonStira che si inserisce nell'evento L’altra faccia delle donne, il fotografo aostano Fabio Dibello si fa promotore di un codice da far de-cifrare e lo spettatore ha il compito di relazionarsi con l'opera che diventa titolo o viceversa. Si parte proprio dalle lettere, dall’origine della scrittura. E l’osservatore deve capire che l’immagine si trasforma in una forma di scrittura. L'artista si ispira intenzionalmente a Non Parto, Non Resto di Alighiero Boetti dove già il segno diventava enigma da risolvere.
E una serialità di immagini, gambe ripetute di donne, come se fossero manichini con abiti di volta in volta diversi – che richiamano il famoso ritornello di una canzone italiana del 1938 del Trio Lescano “... Ma le gambe, ma le gambe a me piacciono di più...” che inneggiava in maniera fresca e scherzosa alla fisicità della donna - ci porta a farci riflettere su quale sia la condizione della donna che appare prima come “corpo”, “superficie” e forse come oggetto e non da subito come essere umano.
Un allestimento che prevede la fotografia di ritratto, del collage e dell'arte povera (concettuale) che segue la via della “fotografia contemporanea” e che coinvolge in modo sottile ma allo stesso tempo provocatore il fruitore attorno a questo contesto. Un modo per evidenziare una situazione ancora presente, per cui l'essere femminile non è sempre riconosciuto del suo “ruolo” e della sua “persona” nell'ambito lavorativo, sanitario e nella vita comune.
Alexine Dayné
Con la mostra NonLavaNonStira che si inserisce nell'evento L’altra faccia delle donne, il fotografo aostano Fabio Dibello si fa promotore di un codice da far de-cifrare e lo spettatore ha il compito di relazionarsi con l'opera che diventa titolo o viceversa. Si parte proprio dalle lettere, dall’origine della scrittura. E l’osservatore deve capire che l’immagine si trasforma in una forma di scrittura. L'artista si ispira intenzionalmente a Non Parto, Non Resto di Alighiero Boetti dove già il segno diventava enigma da risolvere.
E una serialità di immagini, gambe ripetute di donne, come se fossero manichini con abiti di volta in volta diversi – che richiamano il famoso ritornello di una canzone italiana del 1938 del Trio Lescano “... Ma le gambe, ma le gambe a me piacciono di più...” che inneggiava in maniera fresca e scherzosa alla fisicità della donna - ci porta a farci riflettere su quale sia la condizione della donna che appare prima come “corpo”, “superficie” e forse come oggetto e non da subito come essere umano.
Un allestimento che prevede la fotografia di ritratto, del collage e dell'arte povera (concettuale) che segue la via della “fotografia contemporanea” e che coinvolge in modo sottile ma allo stesso tempo provocatore il fruitore attorno a questo contesto. Un modo per evidenziare una situazione ancora presente, per cui l'essere femminile non è sempre riconosciuto del suo “ruolo” e della sua “persona” nell'ambito lavorativo, sanitario e nella vita comune.
Alexine Dayné